King Crimson – Discipline


Caro lettore,

L’opera che recensiremo oggi è Discipline, del 1981, dei King Crimson. Il gruppo, pilastro e iniziatore del rock progressivo, ha traversato, anche per gli ampi e numerosi cambiamenti nella formazione, quattro fasi stilistiche principali nella sua carriera, attraverso le quali ha sempre (o almeno quasi sempre) conservato intatto solo il profondo spirito di sperimentalismo e apertura alle novità musicali e l’abitudine di caricare di senso tanto profondo quanto velato e criptato ogni opera; Discipline inaugura il terzo periodo, quando un’influenza soprattutto dell’universo new wave trascina la produzione del gruppo verso il rock neoprogressivo, facendogli assorbire solo alcune caratteristiche, specialmente estetiche, come lo snellimento parziale della strumentazione a favore di strumenti più tipici del rock (primo fra tutti la chitarra elettrica, ovviamente), ma non di sicuro altre come l’esplicitazione diretta del messaggio dell’opera o la ricerca di soluzioni meno complesse a favore dell’orecchiabilità. Ironicamente, il titolo è il nome che doveva portare il gruppo prima di assumere quello effettivo.

Come potrebbero già comunicare l’intricato intreccio rappresentato nella copertina dell’album e il suo titolo, l’opera è dedicata, o almeno così la interpreto io, alla disciplina intesa non come rigore etico-comportamentale, ma come ordine, organizzazione ontologica, come effetto perfezionante dell’uomo che capisce con la filosofia il suo ruolo e la sua capacità sull’essere esterno sotto la sua influenza, come potere dell’umano del procurarsi la completezza e la felicità immacolata che ne deriva con i propri mezzi. Il messaggio si diffonde, velato nelle melodie e nei vaghi testi, passando per un inizio di non-disciplina e caos, che portano l’animo umano allo scetticismo e alla passività, e per poi crescere fino all’etereo e sorprendentemente pacato punto d’arrivo.

L’inizio, segnato da “Elephant Talk”, è distorto, disorientante, sperimentale e, come, stranamente per il gruppo, sarà tutto l’album, dominato da melodie martellanti, però sapientemente mitigate e magnificate da effetti sonori e cacofonici affinché non siano mai ripetitive. Il testo è confusionario tanto quanto la base musicale, come il caos che deve rappresentare, ed è basato sul descrivere, a parole le cui iniziali sono ordinate lungo le cinque brevi strofe in ordine alfabetico crescente, la pratica dello studiare la realtà attraverso sproloqui filosofici che, appunto, appaiono all’animo confuso dalla complessità del suo mondo come inutili diatribe da “discorsi pachidermici”, parlare grossolano.

“Frame by Frame” si apre con un duetto di chitarre, una aperta e sonora in contrasto all’altra convulsa e ancora più martellante di quella che apriva la traccia precedente, che lascia poi spazio a un tema, con cui si intervallerà, che si ritroverà nella title track “Discipline” e perciò simboleggerà l’ordine mentale che si sta cercando, come l’ascoltatore avrà modo di notare. Il testo, in risposta, appunto, a questo tema che fa da portabandiera alla ricerca, ancora predice una morte per annegamento nel mare dei dubbi, che si accumuleranno, a chi proverà ad analizzare la complessa realtà.

“Matte Kudasai”, all’improvviso, rompe il clima energico e quasi musicalmente scherzoso con una struttura melodica, lenta e delicata, accompagnata da un cantato pulito e molto curato. Dopo che si sono descritte i presunti e vaghi lati negativi del pensare troppo, rappresentati dal tentativo di domare ritmiche battenti e motivi incalzanti, una traccia dall’opposta tendenza presenta, stavolta, nel testo, i lati negativi del contrario, attraverso il racconto della vita di un’ipotetica signora che ha speso la sua vita ad aspettare, passiva ed impotente, che il fato ordinasse le sue carte da solo, ovviamente invano, ed è rimasta, malinconicamente, a sonnecchiare nella sua “triste America”. Il titolo, per questo, significa, in giapponese, qualcosa come “Attendere prego”.

Se nella traccia precedente si descrive la tristezza della vita passiva vissuta nonostante il divenire delle cose, “Indiscipline”, invece, descrive l’apoteosi del caos, il contrario teorico della perfezione della disciplina; ovviamente, i due stili musicali sono ancora contrapposti: melodie lente e rilassate lasciano spazio a sprazzi chitarristici distorti, duettati, ipnotici e convulsi, siglati anche da un cantato che assomiglia molto più a un parlato e ad un prepotente uso della batteria. L’indisciplina, raccontata da un uomo che l’ha accolta nella sua vita, è descritta come una tentazione fortissima, sincera e naturale, ma che poi, da assecondata, è frutto di una pesante e distruttiva dipendenza dall’errore, come lo è la chiusura mentale della passività del pensiero.

“Thela Hun Ginjeet” si lega molto bene alla traccia precedente, conservando la sua energia e tensione, anche se forse con una maggior compostezza strutturale. Il titolo è anagramma di “heat in the jungle”, che si riferisce, in slang americano, al crimine nelle città. Infatti, questa canzone parla di effetti più concreti della società sul caos ideologico che la attanaglia per colpa della gente che non pensa o è spinta a non pensare: la criminalità. Il testo è, in gran parte, la registrazione originale del membro del gruppo incaricato di andare a raccogliere da dei criminali delle frasi autentiche per la traccia che viene scoperto e minacciato da questi, accompagnata da delle parti parlate nervosamente che introducono e narrano questo episodio.

“The Sheltering Sky” è un pezzo strumentale che, sotto l’immagine naturale del cielo evocata dal titolo, unisce tutte le influenze musicali incontrate fino ad adesso: delicatezza, melodia, epicità compositiva, suoni distorti e violenti, cacofonie e ritmi e motivi martellanti. Ciò vuole rappresentare la totalità delle cose che si riunisce sotto la realtà naturale, appunto, della natura selvaggia, e in particolare di quella sua parte sempre visibile anche dagli scenari apparentemente più urbanizzati e strappati al mondo naturale.

La totalità delle cose considerata sotto i giusti aspetti porta l’uomo a confluire naturalmente nella disciplina: “Discipline”, la title track nonché mezzo di consegna del messaggio e risoluzione del problema narrativo dell’opera, ancora strumentale (la comprensione non ha bisogno di parole, che possono essere usate anche per deviare le menti dalla verità), riporta una successione di note a chitarra elettrica poco distorta pulita, meccanica, ipnotica, ripetitiva ma non banale, lenta ed eterea, come una serenità completa, un’ideale assenza di caos e una mancanza di energia dovuta al fatto che non è più necessaria. Successivamente nella traccia, la perfezione si sviluppa, soprattutto con la sottolineatura del fatto che le chitarre che suonano in realtà sono due che permette anche all’orecchio meno esperto di notarlo, attraverso un duetto di strumenti suonati a diversi ritmi e in tempi sfasati, secondo un sapiente e complicato sistema compositivo caotico, cosa che si trasmette all’ascoltatore, che però è anche rilassato da questa melodia capace di creare ordine dal caos: come senza luce l’ombra non esiste, la perfezione non può vivere senza l’imperfezione, seppur tenuta in un angolo, e questo è ben rappresentato dal gioco musicale sopra descritto.

“Discipline” non è un album facile da ascoltare, ma è profondo e divertente ed orecchiabile allo stesso tempo – forse più di altri album dei King Crimson – nonostante non cada mai nel banale o nella semplicità compositiva, e per questo può essere considerato un gran pezzo d’arte.

Ciao, Ema

Questa voce è stata pubblicata in Arte, Musica e contrassegnata con , , , , , , , , , , , , . Contrassegna il permalink.

Una risposta a King Crimson – Discipline

Lascia un commento